marzo 10
14:49
2015
«La decisione di far uccidere Moro non venne presa alla leggera.
Ne discutemmo a lungo, perché a nessuno piace sacrificare delle vite.
Ma Cossiga mantenne ferma la rotta e così arrivammo a una soluzione
molto difficile, soprattutto per lui. Con la sua morte impedimmo a
Berlinguer di arrivare al potere e di evitare così la destabilizzazione
dell’Italia e dell’Europa».
Così parlò nel 2006 Steve Pieczenik, il consigliere di Stato USA,
chiamato al fianco di Francesco Cossiga per risolvere la condizione di
crisi, in un’intervista pubblicata in Francia dal giornalista Emmanuel
Amara, nel libro Nous avons tué Aldo Moro. Ancora prima il 16
marzo del 2001 in una precedente dichiarazione rilasciata a Italy Daily,
lo stesso Pieczenik disse che il suo compito per conto del governo di
Washington era stato quello
«di stabilizzare l’Italia in modo che la Dc non cedesse. La
paura degli americani era che un cedimento della Dc avrebbe portato
consenso al Pci, già vicino a ottenere la maggioranza. In situazioni
normali, nonostante le tante crisi di governo, l’Italia era sempre stata
saldamente in mano alla Dc. Ma adesso, con Moro che dava segni di
cedimento, la situazione era a rischio. Venne pertanto presa la
decisione di non trattare. Politicamente non c’era altra scelta. Questo
però significa che Moro sarebbe stato giustiziato. Il fatto è che lui
non era indispensabile ai fini della stabilità dell’Italia».
Queste
dichiarazioni di un esponente ufficiale del governo United States of
America (assistente del segretario di Stato sotto Kissinger, Vance,
Schultz, Baker) di dominio pubblico da tempo, anzi il 9 marzo 2008 sono
peraltro state riportate dal quotidiano La Stampa (“Ho manipolato le br
per far uccidere Moro”). E non sono mai state smentite da Cossiga e
Andreotti. Ma allora, come mai la magistratura italiana, ovvero la
procura della Repubblica di Roma, non convoca Steve Pieczenik in Italia e
lo torchia legalmente a dovere? Proprio Pieczenik nei primi anni
Settanta fu chiamato da Henry Kissinger a lavorare da consulente presso
il ministero degli Esteri con l’approvazione di Nixon. Kissinger aveva
minacciato di morte Aldo Moro. Kissinger ai giorni nostri è stato
ricevuto come se niente fosse da Giorgio Napolitano, quello eletto da
onorevoli illegittimi, che ha piazzato ben tre governi abusivi, ossia
Monti, Letta, Renzi (sentenza della Corte costituzionale numero 1 del
gennaio 2014) che il popolo “sovrano” non ha votato.
L’ex vicepresidente del CSM ed ex vicesegretario della Democrazia
Cristiana Giovanni Galloni il 5 luglio 2005, in un’intervista nella
trasmissione NEXT di Rainews24, disse che poche settimane prima del
rapimento, Moro gli confidò, discutendo della difficoltà di trovare i
covi delle BR, di essere a conoscenza del fatto che sia i servizi
americani che quelli israeliani avevano degli infiltrati nelle BR, ma
che gli italiani non erano tenuti al corrente di queste attività che
sarebbero potute essere d’aiuto nell’individuare i covi dei brigatisti.
Galloni sostenne anche che vi furono parecchie difficoltà a mettersi in
contatto con i servizi statunitensi durante i giorni del rapimento, ma
che alcune informazioni potevano tuttavia essere arrivate dagli USA:
«Pecorelli scrisse che il 15 marzo 1978 sarebbe accaduto un fatto
molto grave in Italia e si scoprì dopo che Moro doveva essere rapito il
giorno prima (…) l’assassinio di Pecorelli potrebbe essere stato
determinato dalle cose che il giornalista era in grado di rivelare».
Lo stesso Galloni aveva già effettuato dichiarazioni simili durante
un’audizione alla Commissione Stragi il 22 luglio 1998, in cui affermò
anche che durante un suo viaggio negli USA del 1976 gli era stato fatto
presente che, per motivi strategici (il timore di perdere le basi
militari su suolo italiano, che erano la prima linea di difesa in caso
di invasione dell’Europa da parte sovietica) gli Stati Uniti erano
contrari ad un governo aperto ai comunisti come quello a cui puntava
Moro:
«Quindi, l’entrata dei comunisti in Italia nel Governo o nella
maggioranza era una questione strategica, di vita o di morte, “life or
death” come dissero, per gli Stati Uniti d’America, perché se fossero
arrivati i comunisti al Governo in Italia sicuramente loro sarebbero
stati cacciati da quelle basi e questo non lo potevano permettere a
nessun costo. Qui si verificavano le divisioni tra colombe e falchi. I
falchi affermavano in modo minaccioso che questo non lo avrebbero mai
permesso, costi quel che costi, per cui vedevo dietro questa
affermazione colpi di Stato, insurrezioni e cose del genere».
La prigione di Aldo Moro, nel cuore di Roma, ovvero nel quartiere
ebraico, ad un soffio da via Caetani dove il 9 maggio 1978 fu ritrovato
il corpo senza vita dello statista, era ben nota al governo di allora
(Cossiga e Andreotti). Il 16 marzo 1978 la strage di via Fani fu
compiuta da uomini dei servizi segreti italiani. Era presente in loco il
colonnello Camillo Guglielmi, ufficiale del Sismi, il servizio segreto
militare, addetto all’Ufficio “R” per il controllo e la sicurezza. Quei
cosiddetti brigatisti rossi non sapevano neanche tenere in mano un’arma
giocattolo, figuriamoci sparare con armi vere e assassinare due
carabinieri e tre poliziotti. Mai come allora gli apparati di cosiddetta
sicurezza italiana unitamente alle forze dell’ordine, mostrarono una
così grande inettitudine voluta. I brigatisti grazie a una trattativa
segreta con lo Stato tricolore sono oggi tutti liberi. Come se la
spassano adesso Valerio Morucci (vari ergastoli), Mario Moretti
(condannato a 6 ergastoli) e Barbara Balzerani? A proposito: le carte
sulla vicenda Moro, in barba alla legge vigente, sono ancora sottoposte
all’impermeabile segreto di Stato, nonostante i proclami propagandistici
di Renzi. Anche per questo siamo una colonia a stelle e strisce,
un’Italietta delle banane eterodiretta dall’estero, a sovranità
inesistente.
Tratto da: www.pressnewsweb.it